Consigli per farsi capire senza perdersi in lunghi giri di parole
È più facile scrivere bene che scrivere male. Questo è il titolo di un brillante manuale di scrittura professionale scritto da Massimo Birattari, autore, copywriter e consulente editoriale dalla penna affilata ed elegante.
Le otto parole che compongono il titolo del libro sono un vero e proprio inno alla semplicità, così lontana dal nostro scrivere quotidiano, pieno zeppo di paroloni, inglesismi e frasi incompiute che impediscono ai nostri messaggi di essere capiti. E spesso letti.
Difficile capirne il motivo, ma è un’abitudine tutta italiana quella di farcire frasi e periodi con aggettivi, gerundi e altre complicazioni inutili. Insomma, troppo spesso ci dimentichiamo della semplicità.
Con il sopravvento della cultura digitale e con l’utilizzo frenetico degli smartphone, diventati ormai una vera e propria protesi del corpo umano, abbiamo però iniziato ad avvertire il bisogno di semplificare, pulire e ordinare con precisione i contenuti. A farla breve: ordinare testi ed immagini in modo da rendere la loro fruizione più leggera e immediata.
Semplificare. Oh, che bel verbo.
Una questione di sguardi
Il fatto è che le pagine web prima si guardano poi si leggono. Le persone, prima cercano di farsi un’idea su ciò che hanno davanti, e solo in un secondo momento decidono se vale la pena leggere e decifrare i contenuti. Se la pagina è confusionale, il pubblico scappa; se invece è ben ordinata, il pubblico resta.
Insomma, una pagina digitale ben organizzata è una sorta di invito alla lettura, e questa forma di ordine (content design) è importante tanto quanto la qualità dello scrivere.
Se quando apriamo un sito web veniamo bombardati da finestre pop up (solitamente orribili e complicatissime da chiudere), pubblicità indesiderata (quando mai la si desidera?) e pulsanti che ci portano altrove, beh, spesso chiudiamo la pagina. È come se pensassimo “È troppo complicato trovare quello che cerco, me ne farò una ragione”.
Quindi, prima di “perdere” tempo nello scrivere, assicuriamoci che ci siano le condizioni per essere letti. Quando queste ci sono, vado da un’altra parte.
Less is more
Se il nostro compito consiste nel far capire qualcosa a qualcuno, o vendere qualcosa a qualcuno, è preferibile ridurre la comunicazione all’essenziale. Renderla chiara, immediatamente comprensibile, amica. Hai presente i testi che trovi nel contratto di un’assicurazione? Ecco, l’esatto contrario.
Ovviamente, questa non è una regola, ma un consiglio. È possibile non ascoltarlo se abbiamo la capacità di trascinare il lettore per paragrafi e paragrafi. Conosco un sacco di persone brave in questo. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, evito questa strada: penso innanzitutto al pubblico e a fornirgli subito le risposte che cerca, senza dilungarmi e fargli perdere tempo. Eppure, anche non volendo, troppo spesso ci perdiamo in lunghissimi messaggi perché non siamo così padroni della sintesi.
Ok, ma come si fa?
Per ridurre un messaggio all’essenziale e renderlo facilmente comprensibile ed esauriente, dobbiamo innanzitutto eliminare le cose superflue che complicano la lettura. Tra queste: aggettivi inutili, inglesismi e parole complicate.
Gli aggettivi inutili
Facile, veloce, intuitivo, efficace, rivoluzionario, innovativo, definitivo. Questi sono solo alcuni dei più abusati. Sì, abusati, perché se ci fai caso oggi siamo circondati da prodotti rivoluzionari, servizi efficaci, aziende innovative, oggetti facili e veloci da utilizzare, applicazioni intuitive e guide definitive. Ecco, questi aggettivi servono solo per allungare il testo, non dicono nulla di utile riguardo un prodotto, un’idea, un’informazione. Un’azienda innovativa, ad esempio, non è davvero innovativa se non specifica rispetto a chi lo è; inoltre, in un mondo pieno di aziende che si definiscono innovative, ha davvero senso dire di esserlo?
Poi ci sono i prodotti rivoluzionari: il mondo pubblicitario ne è pieno, ogni nuovo prodotto è rivoluzionario, ma nessuno spiega mai il perché. Te lo dico: perché in realtà non lo è affatto.
E non dimentichiamoci dei servizi efficaci. Oh, questi sono meravigliosi. Pensa ai dentifrici efficaci per la pulizia dei denti o ai detersivi efficaci per rimuovere le macchie. Cose così, insomma. Ha davvero senso usare l’aggettivo efficace? È abbastanza scontato che le persone si aspettino che lo sia, altrimenti non lo comprerebbero. Chi mai comprerebbe uno spazzolino che non è efficace per la pulizia dei denti? E chi acquisterebbe un detersivo che non lava via le macchie?
Ok, hai capito. Questi aggettivi inutili, non li usare più perché non servono.
Se proprio vuoi inserire un aggettivo perché ritieni necessario farlo, beh, soffermati un po’ di più su quello che vuoi davvero far capire ai tuoi lettori. Nel concreto, puoi affidarti al Dizionario delle Collocazioni, un vero e proprio consigliere cartaceo che suggerisce gli aggettivi, i complementi, i verbi e gli avverbi che si “collocano” correttamente accanto alla tua parola.
Esempio:
Ho fatto una bella fotografia VS Ho scattato una fotografia nitida.
Non serve uno scienziato per accorgersi che “scattato” e “nitida” raccontano qualcosa in più rispetto a “fatto” e “bella”. A farla breve: rendono il messaggio più esauriente.
Ancora:
Per me è importante fare bene in campo VS Per me è importante scendere in campo e disputare una buona partita.
La seconda versione è più lunga, vero, ma è più ricca di significato (quindi esauriente). È anche più bella, non credi?
Per riuscire in questo è importante rileggere a voce alta e chiedersi se il nostro testo potrebbe essere scritto meglio. Nel 99% dei casi la risposta è sì.
Gli inglesismi e altre complicazioni
La lingua inglese è meravigliosa, ricca, musicale, e proprio per questo spesso è bello inserire qualche sue termine nel nostro quotidiano. E lo facciamo eccome, esagerando oltremisura e non sempre senza evitare strafalcioni perché, va detto, noi italiani non ce la caviamo benissimo con questa lingua.
Possiamo fare a meno di termini ed espressioni come: facciamo un meeting, incontriamoci in un wine bar, ho comprato dei biscotti sugar free, ho voglia di uno snack, siamo in overbooking eccetera eccetera. Molto spesso, le parole inglesi le pronunciamo male e le scriviamo anche peggio. Diciamo “midia” invece che “media” perché vogliamo sentirci un po’ americani, senza sapere che non c’è nulla di male a pronunciare “media”, con la E, perché questa parola viene dal latino. Pronunciamo quasi correttamente la parola bakery, ma quando la dobbiamo scrivere veniamo colpiti dal dubbio: si scriva con “ck” o solo con la “k”?.
Poi, inaspettatamente, scriviamo phon invece di asciugacapelli. Che male c’è a scrivere asciugacapelli? E poi, nel dizionario, esiste anche fon, scritto così, tre semplicissime lettere: F-O-N. Va detto, poi, che “phon” proprio non esiste. Davvero.
Alcuni inglesismi da evitare: trend, crowdfunding, reason why, target, storytelling, meeting, call, retail. Potrei andare avanti per ore, ma a questo punto della lettura, ti consiglio un secondo strumento utile: “L’etichettario – dizionario di alternative italiane a 1800 parole inglesi”. Utilissimo. Davvero.
Le parole complicate
Perché usare “al fine di” o “finalizzato a” quando possiamo scrivere “per”? Perché preferiamo “con l’ausilio di” ad un più comune “con”? O ancora, perché scriviamo “con l’eccezione di” quando basterebbe un semplice “tranne”?
Ecco, come dicevo all’inizio, è più facile scrivere bene che scrivere male.
Siamo noi che ci complichiamo la vita con aggettivi inutili, inglesismi che non sappiamo ne scrivere ne pronunciare correttamente, e parole provenienti dal burocratese che potrebbero essere scritte con vocaboli mille volte più semplici.
Scegliamo dunque la semplicità. Sarà più facile (e decisamente probabile) essere capiti.
Pensiamo sempre al nostro pubblico, evitiamo di farlo sentire come noi ci sentiamo davanti un contratto di lavoro o una lettera della banca.
Scriviamo facile. Facciamolo sia per noi che per gli altri. Perché alla fine, vinceremo tutti.