fb

L’urlo segnato sul corpo: il cutting

2186

Fermo immagine [Ilaria, 14 anni]:

Ogni volta che mi taglio non penso al dolore, penso ad una liberazione: il sangue che esce, lo guardo, lo vedo scorrere lentamente finché finalmente arriva il SOLLIEVO…e poi penso al dolore vero che sento in corpo, all’odio verso mio padre, tampono le ferite… faccio una foto che collezione nella mia cartella segreta e guardo i segni, le testimonianze del mio urlo… l’ho fatto un’altra volta… forse l’ultima …..ma DOVEVO, era più forte di me. Se non lo avessi fatto sarei stata peggio, ora posso uscire camminare a testa alta e guardare mio padre dritto in faccia urlando tra me e me: l’ho fatto per te… esisto non sono trasparente. Mi faccio male e posso farti male, anche se tu non lo saprai mai.

L’iceberg mediatico, nel quale genitori ancora inconsapevoli dei pericoli e degli effetti della rete, condensa nella sua estremità tante grida di allarme che, forse solo recentemente, si iniziano a conoscere ed ascoltare in maniera più diretta e maggiormente consapevole. Del resto, lo sappiamo, si parla poco tra genitori e figli di quello che si fa in rete, dei siti che si visitano, degli amici e dei gruppi che si compattano su scelte proiettive che molto spesso allontanano dal sé, piuttosto che fungere da solidificazione sana di un passaggio evolutivo tormentato ma pur sempre naturale e fisiologico.

Una di queste grida è rappresentata dal fenomeno del cutting, del tagliarsi per espellere un dolore interno che non si riesce più a gestire e che solca la pelle come testimonianza diretta di essere presenti, vivi e non congelati.

Il cutting, ovvero tagliarsi con oggetti appuntiti come coltelli, lamette, pezzi di vetro, rappresenta l’ultima frontiera dell’autolesionismo giovanile; un fenomeno preoccupante che sta dilagando nelle scuole e che rappresenta una delle conseguenze e degli effetti dello tsunami virtuale sulle nuove generazioni.

La difficoltà degli adolescenti ad esprimere le loro emozioni è una delle conseguenze dell’analfabetismo emotivo (Goleman, 1995) che si pone alla base dei problemi che caratterizzano le giovani generazioni, come il bullismo, la tossicodipendenza e l’alcolismo, e si concretizza in una mancanza di consapevolezza e, quindi, di controllo delle proprie emozionie dei comportamenti ad esse associate, così come una mancanza di consapevolezza delle ragioniper cui si prova una determinata emozione, un’incapacità di relazionarsi con le emozioni degli altri – che non vengono riconosciute e comprese – e con i comportamenti che scaturiscono da esse.

Ci si taglia perché il dolore interno diventa insopportabile e si ha bisogno di esternarlo sul corpo, che diventa testimone/traccia di un grido di soffocato interno e segno di orgoglio e riconoscimento nel gruppo di una sofferenza che condivisa nei tutorial e nei social dà l’illusione di non essere soli, di riconoscersi e di alleviare in tal modo la sofferenza. Dobbiamo conoscere questi circuiti paradossali per aiutare i nostri ragazzi, per riconoscere segnali di disagio e per sostenerli in un processo di rivisitazione e rielaborazione costruttiva della sofferenza.

Barbara Volpi
WRITTEN BY

Barbara Volpi

Psicologa, psicoterapeuta, PhD in Psicologia Dinamica e Clinica, collabora con il Dipartimento di Psicologia dinamica e clinica della Sapienza – Università di Roma, è docente al Master di II livello sul Family Home Visiting, presso il Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica- Sapienza- Università di Roma e presso l’Accademia di Psicoterapia Psicoanalitica [SAPP] di Roma. È membro dell’Italian Scientific Community on Addiction della Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento Politiche Antidroga e Socio Fondatore della SIRCIP [Società Italiana di Clinica, Ricerca ed Intervento sulla Perinatalità). È autrice di numerose pubblicazioni e articoli di ricerca, e interventi sul tema dell’Educazione Digitale. Tra le sue ultime pubblicazioni segnaliamo: «Gli adolescenti e la rete» (Carocci, 2014) e per il Mulino «Family Home Visiting» (con R. Tambelli, 2015) e “Genitori digitali. Crescere i propri figli nell’era di internet” (2017).