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Le parole giuste costruiscono immaginari precisi

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La scrittura è costruzione. Quando scriviamo, sia per mestiere che per passione, non facciamo altro che progettare immaginari, evocare situazioni, sentimenti e desideri nella mente del lettore. I testi devono essere scorrevoli, fluidi, a volte regolari a volte meno, quello che conta davvero non è quanto siamo bravi a scrivere, ma quanto riusciamo a far immaginare quello che vogliamo, senza lasciare spazio ad errate interpretazioni.

A farla breve, non è importante quello che scriviamo, o come lo scriviamo, quello che conta davvero è cosa capisce il lettore. E il processo di comprensione varia in base al tempo che dedichiamo alla lettura e al supporto che utilizziamo. Leggere su schermo o su carta, su smartphone o da un grande monitor, da seduti o mentre passeggiamo, cambia drasticamente il livello di attenzione e la capacità di costruire un immaginario preciso.

Chi scrive per vendere, convincere e conquistare deve essere pronto ad ogni medium e situazione, senza dare nulla per scontato. E in questa attività, ogni parola è importante. È necessario scegliere i termini più giusti per far capire al pubblico che stiamo dicendo esattamente quella cosa lì. 

Ad esempio, se scriviamo “ho letto un bel libro”, non stiamo comunicando granché. Bello è un aggettivo di scarso significato. O ancora, se scriviamo “ho fatto un piano editoriale”, con il verbo fare non partecipiamo affatto alla costruzione di un immaginario. E qui si apre un primo indizio: aggettivi e verbi sono il motore del significato.

Gli aggettivi, sceglierli con cura

Partiamo dal già citato “bello”: un bel libro, un bello sguardo, una bella colazione, una bella cravatta, ecco, proviamo ad impegnarci un po’ di più e a cercare aggettivi più esaurienti. Non dobbiamo fare i virtuosi, dobbiamo essere precisi.
Ecco che un bel libro può dunque diventare un libro avvincente, e uno sguardo può essere affascinante, magnetico, misterioso, espressivo, fermo, deciso, vitreo, signorile, acuto o luminoso; una colazione può invece essere abbondante, vegana, servita o a buffet; e la cravatta, invece, può essere da cerimonia, da ufficio, di seta, lana, cotone o poliestere, ma anche elegante, fuori moda, a tinta unita, a righe, sottile. Insomma, ognuno di questi aggettivi racconta qualcosa in più del semplice bello.

Non serve descrivere ogni micro dettaglio, ma è importante evidenziare almeno qualche caratteristica, in modo che il lettore si costruisca un immaginario corretto.

Il verbo fare, nemico della chiarezza

Esattamente come gli aggettivi, i verbi giusti rendono un testo più colto, preciso, evocativo. Il verbo fare, ad esempio, nella maggior parte dei casi può essere sostituito da un verbo più utile e preciso. “Ho fatto il sugo al pomodoro” può trasformarsi in “Ho preparato il sugo al pomodoro”, la frase “Ho fatto una campagna di marketing” diventa più dignitosa con il verbo pianificare, “Ho pianificato una campagna di marketing”. Ecco. 

Altri esempi?

Ho fatto una fattura > Ho emesso una fattura.
Ho fatto la solita strada > Ho percorso la solita strada.

Ho fatto un viaggio > Ho intrapreso un viaggio.

Ho fatto un cocktail analcolico > Ho preparato un cocktail analcolico

È importante soffermarsi e chiedersi se possiamo migliorare e specificare, se riusciamo, con poche parole, a costruire un immaginario più preciso. Nel processo di acquisto è importante chiarire cosa fa e cosa può fare un prodotto, un servizio o un’azienda. Se scriviamo in modo generico diventa faticoso far emergere (e far capire) il famoso valore aggiunto.

Altri verbi

Intorno ad un termine si possono collocare verbi differenti in base al messaggio che vogliamo comunicare. Esempio, attorno alla parola casa, possiamo abbinare costruire, tornare, abbattere, chiudere, disegnare, riscaldare. Attorno a pianeta, troviamo raggiungere, scoprire, studiare, conoscere eccetera. Ogni verbo ha un potenziale narrativo differente. Insomma, attorno ad ogni parola gravitano tantissimi verbi (e ovviamente aggettivi), è nostro compito sceglierli con cura.

Il problema è che spesso siamo pigri e non abbiamo voglia di impegnarci. Come se fosse un’attività chissà quanto complessa, accidenti, abbiamo pure i dizionari che ci vengono in soccorso, usiamoli:

  • quello di italiano è indispensabile;
  • quello dei sinonimi e contrari è utilissimo e ci rende meno noiosi;
  • quello etimologico ci apre nuovi mondi;
  • quello delle collocazioni ci regala aggettivi, verbi e avverbi più precisi.

Insomma, armiamoci di questi strumenti antichi e affascinanti, e scaviamo a fondo nei nostri testi: rendiamoli brillanti, esaurienti, precisi, capaci di descrivere correttamente oggetti, aziende, fatti.

Non accontentiamoci del primo immaginario, non è mai preciso. Mai. Ricordo un prezioso consiglio di Stefano Benni sullo scrivere, sussurrato a bassa voce durante una lezione di scrittura creativa:

“se racconti di un giardino con un albero al centro, dimmi di che albero si tratta. Se scrivi di un giardino con un albero al centro non vedo granché, ma se scrivi di un giardino con un olmo al centro è tutta un’altra cosa”.

Davide Bertozzi
WRITTEN BY

Davide Bertozzi

Copywriter, direttore creativo e formatore. Lavoro con strumenti antichi che non passano mai di moda: immagini e parole. Lo faccio per imprese che devono costruire o migliorare la propria brand identity, agenzie di comunicazione e piloti di MotoGP. Insegno scrittura pubblicitaria e content marketing in business school, aziende e amministrazioni. Metto la E dopo il punto, e anche dopo la virgola, è una cosa che amo da morire.