Giovani che volontariamente smettono di andare a scuola, di avere amici e di relazionarsi con la famiglia.
Hanno tra i 14 e i 25 anni e non studiano né lavorano. Non hanno amici e trascorrono gran parte della giornata nella loro camera, a stento parlano con genitori e parenti.
Rinchiusi nella loro stanza senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno, si rifugiano tra i meandri della Rete e dei social network, unico contatto con la società che hanno volontariamente deciso di abbandonare. Tutto questo porta a una crescente difficoltà e demotivazione del ragazzo nel confrontarsi con la vita sociale, fino a un vero e proprio rifiuto della stessa.
Li chiamano “hikikomori”, termine giapponese che significa “stare in disparte”. Nel Paese del Sol Levante hanno da poco raggiunto la preoccupante cifra di un milione di casi, ma ormai è un fenomeno che non preoccupa soltanto il Giappone.
Anche la dipendenza da internet viene spesso indicata come una delle principali responsabili dell’esplosione del fenomeno, ma in realtà essa rappresenta per lo più una conseguenza dell’isolamento, non la causa.
“Molto spesso viene confusa con sindromi depressive e nei peggiori casi al ragazzo viene affibbiata l’etichetta della dipendenza da internet”, spiega Marco Crepaldi, fondatore di Hikikomori Italia, la prima associazione nazionale di informazione e supporto sul tema, “una diagnosi di questo genere normalmente porta all’allontanamento forzato da qualsiasi dispositivo elettronico, eliminando, di fatto, l’unica fonte di comunicazione con il mondo esterno per il malato: una condanna per un ragazzo hikikomori”.
Maggiore consapevolezza e informazione sulle problematiche che affliggono i giovani di tutto il mondo, potrebbe portare gli specialisti e i genitori ad avere una maggiore apertura verso questi tipi di disturbi riconoscendo il fenomeno, non ricorrendo a generalizzazioni e riaccendendo la volontà in loro di confrontarsi con le sfide quotidiane.