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Fortnite, il videogioco che preoccupa i genitori

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Fortnite è il videogioco del momento e lo è da almeno un anno e mezzo. Fa registrare numeri record, sia sotto il profilo degli utenti che lo hanno scaricato sia sotto quello dei profitti economici che garantisce alla società produttrice. Un’escalation di successo che sta però mettendo in allarme genitori, educatori e psicologi. Secondo alcuni esperti, infatti, Fortnite creerebbe dipendenza nei ragazzi che ci giocano. È davvero così?

Fornite e gli adolescenti, tutti i numeri di un fenomeno sociale esplosivo

Per comprendere la portata del fenomeno globale Fortnite è bene partire da qualche numero. Due cifre su tutte possono rendere l’idea: 150 milioni sono gli adolescenti che hanno un account per giocare e 3 miliardi sono i ricavi del 2018 della Epic Games, la società che lo vende. Aggiungiamo un terzo dato: 7,6 milioni di giocatori connessi nello stesso momento è il record fatto registrare dal celebre videogame il 16 febbraio del 2019.

Ma cos’è Fortnite? E perché piace tanto agli under 18? Chi ha un figlio o un nipote in età adolescenziale ne ha probabilmente sentito parlare, perché è il videogioco più amato e discusso. Si inserisce nel filone dei cosiddetti “sparatutto” ma con un pizzico di creatività in più. A vincere, infatti, è chi sopravvive più a lungo ma, nello stesso tempo, sa muoversi strategicamente nella costruzione di un vero e proprio mondo parallelo. Inoltre, si gioca online, virtualmente fianco a fianco con ragazzi di tutto il mondo, e questo non fa che aumentare l’appeal.

Il business di Fortnite

Iniziare a giocare a Fortnite è semplice, soprattutto perché gratuito. Il videogame, infatti, è disponibile in free download per qualsiasi piattaforma: Playstation, X-BOX, PC e mobile. Il momento di pagare arriva dopo, magari anche molto dopo, ma arriva, soprattutto se il videogioco raggiunge il suo scopo di coinvolgimento. Perché a costare sono tutti quegli elementi che servono per salire di livello e progredire: le cosiddette “skin (oggetti, costumi, eccetera).

Bambini che giocano ai videogameDipendenza da Fortnite, l’allarme è reale?

La progressiva esplosione del fenomeno Fortnite va di pari passo con un moltiplicarsi di dubbi e preoccupazioni, legati soprattutto al tema della dipendenza da videogame. L’argomento è complesso ed oggetto di dibattito. Senza dubbio molte delle caratteristiche di Fortnite lo rendo un “imputato” quasi naturale: il coinvolgimento che riesce a generare grazie a trama e ambientazione, il continuo richiamo alla violenza e alla necessità di sopraffare l’altro, il collegamento, seppur malcelato, con i soldi, con la necessità di spendere per acquistare e migliorare.

In tutto il mondo si moltiplicano le denunce di genitori preoccupati e le storie come quella di Carson, raccontata qualche mese fa da Bloomberg, capace di giocare per 12 ore consecutive e di mettere in sospensione tutta la sua vita, scuola compresa. Qualche caso comincia ad emergere anche in Italia, con bambini e adolescenti che presentano gli stessi “sintomi”: tanto ore passate alla console, profitto a scuola che crolla, poca voglia di fare qualsiasi altra attività, compresi gli hobby e gli sport per i quali stravedevano fino a poco tempo prima.

C’è anche però chi ridimensiona il fenomeno e chiede di evitare allarmismi, sottolineando che si tratta di casi limite e che rappresentano un’esigua minoranza rispetto a tutta la popolazione dei giocatori. Dare tutta la colpa a Fortnite, poi, sarebbe radicalmente sbagliato, perché la dipendenza da videogioco, anche quando c’è davvero, è solo lo sfogo di un malessere che ha radici diverse e più profonde.

Francesco Rossi
WRITTEN BY

Francesco Rossi

Romano di periferia, ma con un pezzo di cuore umbro (Norcia). Professionalmente nasco giornalista, con un’inspiegabile laurea in giurisprudenza. Prima carta stampata, poi radio, poi attività di ufficio stampa nel settore bancario e assicurativo. Poi il web, finalmente. E con lui il copywriting, il brand journalism e la SEO. Oggi sono un consulente per aziende, PMI e liberi professionisti. Mi occupo di ideare e implementare strategie di digital content management, con un focus specifico sul brand journalism e il SEO copywriting. Collaboro con diverse agenzie di digital marketing e lavoro per importanti realtà nazionali e internazionali di cui curo il posizionamento sui motori di ricerca.